Hamilton al Times: voglio essere un mix tra Senna e Mandela

Lewis Hamilton si è raccontato all’inserto Style del Times che lo ha messo in copertina e gli ha dedicato 9 pagine con un sacco di foto modaiole di quelle che piacciono a lui, sempre attentissimo al suo look.

Hamilton ha incontrato Gavanndra Hodge, una delle firme di punta del Times al Kensington Roof Gardens, non lontano da dove Lewis abita a Londra (ma ha case anche a Monaco, Ginevra, in Colorado e a New York, chissà che se prenderà una anche a Maranello…). La chiacchierata è cominciata da Stevenage, da quando la famiglia doveva fare un sacco di sacrifici per permettergli di inseguire i suoi sogni. “Sono grato di aver avuto quell’esperienza. Ricordo di non aver avuto soldi. Ricordo la lotta dei miei genitori. Penso che sia stato un vantaggio”, dice. “Hai lottato più duramente in pista perché era stato così difficile per te arrivarci?” chiedo. “Al mille per cento”, risponde.

“È stato un ottovolante di emozioni dal momento in cui ho firmato il contratto, dirlo al mio capo è stato terrificante – racconta riferendosi alla scelta di firmare per la Ferrari -. Ma è così emozionante perché ricordo che da bambino guardavo Michael [Schumacher].Ogni pilota guarda quella macchina e pensa
tipo, “Come sarebbe sedersi nell’abitacolo rosso?”….

Racconta quanto gli piaccia passare del tempo con i suoi nipoti, giocare a Uno o a Fortnite. “Sono bravo con i bambini, mi piacciono”, dice e poi descrive il baby Lewis come un “diavolo della Tasmania”, un bambino a cui non piaceva la scuola, che aveva una dislessia non diagnosticata, che era timido, ma che al volante del suo piccolo kart, regalo di Natale del padre quando aveva 8 anni “qualcosa scorreva dentro di me, era l’unica cosa in cui avevo fiducia”.

Parla del razzismo che ha dovuto affrontare: “”Non c’era modo di sfuggire. Lo sperimenti a scuola, nei parchi, camminando per la città. Non lo capivo e i miei genitori non me ne hanno mai parlato. Non mi hanno mai spiegato cosa stava succedendo. Mio padre diceva solo, ‘Tieni la testa bassa, trattieniti, non dire niente, battili in pista, è tutto ciò che puoi fare.”.

“Fuori dalla macchina sei gentile e amichevole”, dice Hamilton. “Ma dentro la macchina mio padre diceva che devi essere spietato, aggressivo, acuto. In macchina non ci sono amici”.

Racconta di come aver visto un video sull’omicio di George Floyd nel 2020 gli abbia cambiato la vita: “Il tappo è saltato. Mi ha fatto cadere in ginocchio in lacrime, tutta questa emozione è uscita. È stata un’esperienza così strana perché non ricordo di aver pianto da quando ero molto giovane. Sapevo di averne avuto abbastanza, avevo davvero bisogno di parlare. Ci sono persone che restano in silenzio, persone che si sentono senza voce e io ho questa piattaforma. Vincere campionati è una cosa incredibile, ma cosa ci fai? Cosa fai con il tuo tempo su questo pianeta?”… da lì nasce il suo impegno sociale. La sua lotta per l’eguaglianza.

Racconta di come durante la pandemia abbia cominciato a meditare. Di come la meditazione e il lavoro su sew stesso sia diventato una routine quotidiana: sveglia alle 5, meditazione, dieci chilometri dui corsa… “Quando avevo vent’anni ho avuto delle fasi davvero difficili. Voglio dire, ho lottato con la salute mentale per tutta la vita.” Ansia? Depressione? gli chiede l’intervistatrice. “Depressione. Fin da piccolo, quando avevo tipo 13 anni. Penso che fosse la pressione delle corse e delle difficoltà a scuola. Il bullismo. Non avevo nessuno con cui parlare.” L’intervistatrice chiede se ha mai visto uno psicologo. “Ho parlato con una donna, anni fa, ma non è stato molto utile. Vorrei trovare qualcuno oggi.” Ha fatto ritiri silenziosi e legge libri sulla salute mentale, tra cui The 5 Love Languages ​​di Gary Chapman. “Stai imparando cose che
ti sono state tramandate dai tuoi genitori, notando quei modelli, come reagisci alle cose, come puoi
cambiarle. Quindi ciò che potrebbe avermi fatto arrabbiare in passato non mi fa arrabbiare oggi. Sono molto più raffinato.”

“Sinceramente, in questo momento mi sento più in salute di quanto non lo sia mai stato”, dice. “Sono in un posto così buono, fisicamente e mentalmente. I miei tempi di reazione sono ancora più rapidi dei ragazzi più giovani. Penso di essere un pilota migliore di quando avevo 22 anni. Ero solo giovane, energico e spietato, ma senza finezza, senza equilibrio. Non sapevo come essere un giocatore di squadra, come essere un leader. Essere un buon pilota da corsa non significa solo essere veloci, ma essere il più completo. Quando studio le leggende, sono distribuite tra piccole percentuali, quindi è il pacchetto completo: cosa parlano, cosa rappresentano? È quello che guardo. Guardo ad Ayrton Senna e Nelson Mandela, e queste sono le due persone unite che voglio essere”.

Vedi anche Il regalo di addio di Hamilton alla Mercedes

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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